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L’altra Faccia Della Storia

 di Daniel Patrick Welch

(2/04)

Hanno mentito a tutti. Ci siamo abituati. Se la salma di Westmoreland conta qualcosa e L’Iran Contra e la Savings and Loans [Istituto Finanziario di Risparmio e di Crediti Speciali] e la prima Guerra del Golfo non hanno insegnato nulla a qualcuno di noi, allora credo che quel qualcuno di noi non e’ fatto per imparare. Il fatto e’ che alcuni di noi ci hanno creduto ed altri no. E’ una grande, sfolgorante e importante distinzione, tale da, senza usare alcuna iperbole, dividere l’intera storia e piazzare noi da una o dall’altra parte.

Questo non e’ un blando disaccordo da politiche da salotto coi nostri colleghi “dell’altra parte della barricata”. E’ una lunga e vecchia lotta: chiamatela rivoluzione e controrivoluzione, progresso e reazione – come vi piace. Ma quelli di noi che si son gelati il naso mentre venivamo raggruppati come bestiame lungo la 3° Avenue in Manhattan un anno fa non ci siam fatti “ingannare”. Noi, con altri dieci milioni che hanno marciato con noi in lungo e in largo il 15 febbraio scorso, abbiamo rifiutato di farci ingannare – proprio totalmente rifiutato di farci guidare dai mentitori e dai loro sincofanti che hanno impachettato e venduto questa guerra. Il mondo, lo possiamo dire con sicurezza a giudicare dalla preponderante ostilita’ ora indirizzata agli USA, non s’e fatto ingannare. La storia stessa non s’e’ fatta ingannare, ma solo deviare un po’ da un potere il cui tronfia forza militare resiste ad ogni bisogno o ragionevoli scuse.

Il mondo pure aspetta di vedere da quale lato della storia l’America del dopo Bush decidera’ di collocarsi. Vorra’ abbandonare l’insana escalation militare e sganciarsi in modo attivo dal suo disegno di dominio globale? E’ una domanda che pesa sul futuro dei nostri figli. Sembra infatti, nonostante le sue illimitate risorse e il suo tenace attaccamento al potere, che l’amministrazione Bush sia disprezzata non solo da quasi tutto il mondo, ma anche da quella parte di quell’ elettorato che in primo luogo non gli aveva conferito alcun mandato. Tutto questo parlare di “elegibilita’” come se fosse un postulato scientifico carico di qualche significato concreto, tutto questo parlare semplicemente gonfia il disfattismo. Bush il Potente non puo’ essere ucciso! E perche’ no? E’ un criminale e un bugiardo, che sarebbe stato rimosso dal potere molto tempo fa in qualunque societa’ decente.

La domanda e’ questa: chi e cosa rimpiazzera’ la giunta Bush? E’ una domanda schiacciante, una domanda grandiosa, dati i cazzotti in faccia che il mondo s’e’ preso in questi ultimi anni. Simile – diciamo – alla ricostruzione dell’Europa o alla fine della guerra fredda. C’era una simile opportunita’ allora, quando noi parlammo del “Peace Dividend” [i Frutti della Pace]. Ma quella pace fu gestita da uomini dalle menti ristrette e dalle mani unte, e il nuovo ordine mondiale invece si ingolfo’ in nuove guerre e nel dominio globale di un manipolo di grandi corporazioni scorazzanti per il mondo in cerca di ogni possibile ultima sacca da spremere.

Ora stiamo davanti a una scelta simile e io suggerisco di affidarla a un governo la cui visione sia larga quanto la nostra epoca richiede. John Kerry purtroppo non rientra in questa definizione, a dispetto della sua meteorica ascesa a contendente unico dopo la convenzione dello Iowa. A me non dispiace, ho votato per lui contro i repubblicani quando mi era sembrata la cosa migliore da fare, e penso che potrei farlo ancora se per alternativa c’e’ l’estensione della Macchina di Distruzione di Bush. Ma io non lo voglio quale mio Presidente e finche’ non avro’ altre scelte mi opporro’ alla sua ascesa a leader unico del manipolo anti-Bush. Un mio amico traduttore brasiliano, che recentemente mi ha preso in giro perche’ mi focalizzavo solo sulle elezioni americane, ha detto: “Pensaci! Al mondo non interessa sapere quando o se il presidente americano verra’ eletto. Quello che il mondo vuole sapere e’ come Bush o chi altri andra’ a influenzare la loro vita.”

Visto – non si tratta solo di repubblicani contro democratici. Entrambi i partiti sono stati compiacenti nell’enorme rigonfiamento dell’apparato industriale militare contro cui il famoso Generale/Presidente repubblicano Eisenhower, cosi’ severamente ci ha messo in guardia prima di lasciare la presidenza. Quando s’arriva al nocciolo abbiamo bisogno di gente al governo che sappia ignorare le convenienze e che faccia cio’ che in cuor loro e’ la cosa giusta da fare. Questo e’ reso ancora piu’ importante dalla disintegrazione del pensiero indipendente negli Stati Uniti, dalla consolidazione delle corporazioni dei media, dalla immensa pressione e risorse controllate dalla destra di questo paese. 

C’e’ un orologio interno che tiene conto del tempo a dispetto dell’apparente fluttuazione della storia e dei tamburi di guerra. Alcuni ce l’hanno, parecchi no. A questo riguardo io biasimo Kerry. Non lo sto pestando, quindi risparmiatemi la posta carica d’odio, per favore – non ho la capacita’ di far perdere un’elezione solo mettendo in risalto pecche evidenti. Tuttavia il senatore Kerry e l’establishment democratico possono farlo da se’ non prestando attenzione a quelle pecche.

Riguardo la guerra in Iraq sono proprio sicuro di non dimenticarmi mai, ne’ di voler perdonare un voto a favore della risoluzione per la guerra. Non e’ solo orgoglio o naso gelato, ma una piu’ profonda verita’ sulla fiducia e la leadership. Se davvero Kerry e’ stato ingannato, allora s’e’ perso qualcosa che alla maggioranza del mondo non e’ sfuggita e non e’ fatto per guidare il paese in un momento storico cosi’ importante. La scusa che quel voto poteva essere basato su informazioni segrete non note al resto del mondo incute ancora piu’ paura, perche’ sancisce una propensione per un governo segreto e svuota di significato il concetto di governo del popolo. Non che io favorisca un particolare ragionamento a sostegno di una decisione che e’ risultata nella perdita di decine di migliaia di vite umane e la rottura di ogni vestigia di cooperazione internazionale – ma ancora piu’ spaventevole di tutto sarebbe se lui sapeva che era un voto sbagliato, ma lo voto’ comunque, giusto per stare al gioco, per essere un buon soldato.

Son venuto alla conclusione che questo sia il caso piu’ probabile, e si staglia anche troppo bene con altri casi in cui la convinzione soccombe alla convenienza. Molto e’ stato detto sullo stato di Kerry, un eroe di guerra e un manifestante contro la guerra. L’incongruita’ non e’ casuale – entrambe le istanze sembrano per molti versi essere opposte. E la dissonanza appare chiara ad uno scrutinio piu’ accurato. Subito dopo che Kerry ha votato per la guerra in Irak, Brian Wilson, in precedenza suo sostenitore e commilitone nel Vitnam, ha scritto una pungente “Lettera aperta a John Kerry”, che e’ tanto penetrante quanto triste. Scrive Wilson:

Il primo segno di una certa incoerenza nel tuo stile e’ stato quando durante la tua prima campagna senatoriale tu hai negato di aver restituito le medaglie al valore, assieme a migliaia di altri veterani, per protesta contro la guerra durante il Dewey Cayon III. Quello e’ stato un po’ uno shock, visto che per molti veterani che hanno restituito le medaglie in quella emozionante cerimonia del venerdi’ 23 aprile 1971, e’ stato un vero momento curativo e di fierezza. La tua risposta durante la campagna del 1984: tu hai restituito le medaglie della Seconda Guerra Mondiale di un tuo compagno a sua richiesta. Durante tutti quei tredici anni tutti hanno pensato che tu avessi avuto il coraggio e la leadership di restituire le medaglie che per i veterani che le hanno restituite rappresentano medaglie di disonore inzuppate del sangue di vietnamiti innocenti che non si meritavano di morire per una bugia, non piu’ dei nostri commilitoni americani. Suppongo allora sapessi che un giorno ti saresti presentato candidato.

E ancora, piu’ recentemente, oltre al penoso capitolo quale e’ stato il Vietnam, viene fuori il problema dei matrimoni gay. Non sono un gay (anche se, per citare Jerry Seinfeld, “non che in questo ci sia qualcosa di sbagliato”), sono tuttavia dentro un matrimonio interrazziale e il problema ha una connotazione personale per me. C’e’ gente in questo paese che non e’ ancora pronta per i matrimoni interrazziali. Il mio matrimonio sarebbe invalido, se non addirittura illegale, non fosse perche’ dei leader precedenti hanno deciso che i miei diritti non avevano bisogno di aspettare che una maggioranza fosse “pronta” a riconoscerli.

Nessuno sta “forzando i matrimoni gay” eccetto, forse, per quelle coppie che sono pronte a prendersi quell’impegno reciproco. Un vero leader non permette che il problema venga collocato a destra in questo modo. Le Corti non sono state dirottate da “giudici attivisti” (eccetto quei tipi che hanno istallato il Somaro-Supremo alla Casa Bianca).

I giuristi stanno semplicemente movendosi verso un momento storico inevitabile: un diritto civile goduto da un gruppo non puo’ essere negato ad un altro gruppo, non importa quanto cio’ possa essere sgradevole a tutti. I leader che “cercano il centro” su questioni di giusto o sbagliato per vantaggi elettorali non portano cambiamenti.

Noi non riconosciamo i matrimoni religiosi in questo paese, e ogni pastore, prete, rabbino o giudice di pace deve procurarsi un permesso civile che gli permetta di agire in qualita’ di pubblico ufficiale. E questo e’ il perche’ questa questione e’ al centro della battaglia per vincere le forze reazionarie negli Stati Uniti. Il collocamento esatto della questione sta proprio davanti ai nostri occhi: la destra sa di dover perseguire l’idea – pensateci per un momento – di un amendamento alla costituzione che bandisca un certo gruppo da questo diritto. Questa e’ un’idea oltraggiosa che dovra’ essere presa di petto. Molte persone oggi in america hanno famiglia, amici, conoscenti e compagni di lavoro che sono gay, parlando di “essere pronti” io non credo che gli americani siano pronti a cambiare la legge del paese solo per perseguire una bigotta caccia alle streghe che farebbe l’orgoglio di Anita Bryant. 

I cosiddetti “levrieri” di Kerry si sono preoccupati principalmente di coprirgli il fianco destro, sempre credendo che il suo fianco sinistro sarebbe rimasto immune da attacchi. Ma questa presa di posizione rappresenta un ruffianarsi la destra, il che risulterebbe ugualmente dannoso in tempi in cui tale ruffianismo non e’ solo disgustoso, ma anche non necessario. Per tornare all’ analogia interrazziale, non c’e’ nulla che scaldi il cuore di un vecchio razzista bianco piu’ della faccia bruna di un bambino mulatto. Io ho questo barometro: quando Homer Simpson puo’ ponderare in orario di grande ascolto alla TV se un suo bacio gay o un bacio da sua moglie “sia il miglior bacio che abbia mai avuto in tutta la giornata”, allora io scommetto che l’America non e’ ancora pronta a rimettere il genio nella bottiglia – o nell’armadio com’e’ qui il caso.

In fatti io penso che gli americani siano pronti per molto piu’ di quanto noi non gli diamo credito. L’esperienza dei pochi anni passati ha veramente scosso la coscienza della gente. Larghi gruppi di persone sono sempre piu’ stanchi di una stampa distorsionista e leccapiedi; richiedono con piu’ insistenza una vera riforma della sanita’ e non solo un altro rigonfiamento del monopolio delle assicurazioni. Anche alcuni sondaggi hanno mostrato che larghe maggioranze sostengono elementi chiave di una agenda progressiva. Per un’ ironia che deve far urlare il candidato, un gruppo di maggioranza in Washington ratifico’ tutti i dieci punti della piattaforma di Dennis Kucinich, mentre davano i due terzi dei loro delegati ad altri candidati. Il mondo e’ pieno di politici cauti, tirati a pettine, imbambolati, coi loro indici al vento. Cautela e timidezza possono prevedibilmente produrre cio’ che hanno gia’: uno stallo soffocante combattuto sul territorio della destra – e perso, piu’ spesso che mai – dove le due meta’ di un grande partito s’azzuffano per i voti bianchi della classe media. Cio’ di cui abbiamo bisogno e’ una ferrea determinazione di fronte al potere che renda possibili cambiamenti concreti. Noi otterremmo cio’ con elezioni che elettrifichino un movimento e spazzino via i repubblicani dal potere con una larga veduta di cambiamenti effettivi.

© 2003 Daniel Patrick Welch. 
Ristampa autorizzata con indicazione della fonte e del link danielpwelch.com
Tr. di Giovanni Diamante

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Welch vive e scrive nella città di Salem in Massachusetts (USA) con la moglie Julia Nambalirwa- Lugudde. Insieme gestiscono la Greenhouse School. Scrittore, cantante, linguista e attivista, è stato ospite di programmi radiofonici [intervista disponibile qui] ed è disponibile per altre interviste. I suoi precedenti articoli e le relative traduzioni sono reperibili sul sito danielpwelch.com. Aggiungete un link al sito di Daniel Welch sulla vostra pagina!